La mente attiva del cane (e del gatto)

Mentre bevevo un caffè sul terrazzo, vedo proprio sotto di me un gatto che passeggia nel vialetto condominiale. Lui, forse cogliendo un rumore o un movimento leggero, scorge immediatamente la mia presenza, si blocca e mi fissa. Sono stato scoperto in due secondi.
Questa sua facilità nell’individuarmi, nonostante io fossi 5 metri buoni sopra di lui, mi ha fatto pensare che con un cane le cose sarebbero andate un po’ diversamente.
Quando dal balcone saluto il mio cane giù in giardino, lei inizia a girarsi da tutte le parti come se fosse vittima di un incomprensibile scherzo e cercasse le telecamere. Non vedendomi a destra, a sinistra, davanti o dietro di lei, non le viene in mente che potrei essere anche sopra.
I cani, esattamente come noi e come gli altri mammiferi, possono percepire i suoni provenienti da tutte le direzioni e con la stessa intensità sia sull’asse orizzontale che su quello verticale, poiché le onde acustiche si propagano nello spazio come sfere concentriche.
La localizzazione della fonte sonora è resa possibile dal fatto che le due orecchie, trovandosi ai lati della testa, raccolgono il segnale acustico con tempi e intensità leggermente diverse. Attraverso la misurazione di queste differenze il cervello è in grado di calcolare il punto dal quale arriva il suono. Più o meno, perché in un mondo tridimensionale per localizzare perfettamente un punto hai bisogno di tre coordinate, e quindi di tre misurazioni. Nel nostro caso, di tre orecchie.
Il problema dell’ascolto binaurale (e della visione stereoscopica) è quello di generare un risultato ambiguo, dal momento che a parità di informazioni la fonte sonora potrebbe trovarsi in molti punti diversi, in particolare proprio sull’asse verticale.
In pratica è virtualmente impossibile stabilire se un suono arriva da davanti, da dietro, da sopra la testa o da sotto i piedi. Per risolvere l’ambiguità un cane può modificare l’orientamento dei padiglioni auricolari in modo indipendente, o fare quella cosa tanto carina di inclinare la testa in modo che le orecchie si trovino ad altezze diverse.
Anche così però ci sono situazioni in cui l’origine del segnale rimane confusa, e qui entra in gioco la differenza che si può osservare tra cane e gatto.
In mancanza di informazioni utili, il cervello combina input sensoriali diversi, li confronta e completa il quadro aggiungendo quello che manca, anche a costo di inventarselo, purché abbia una sua coerenza interna. Non è un calcolatore passivo, ma una macchina che fa previsioni e cerca attivamente nell’ambiente conferme alle proprie previsioni per elaborare un modello che magari non è vero, ma è almeno verosimile.

Un cane non si limita a decodificare il mondo che percepisce con i propri sensi, ma ricostruisce il mondo che si aspetta, quel tipo di mondo per il quale nella sua storia evolutiva ha sviluppato specificità, un mondo in cui è importante localizzare un movimento o un richiamo sul piano orizzontale, perché è lì che l’architettura canina eccelle, ma un mondo in cui evidentemente le persone sui balconi non sono state così rilevanti.
Il mondo felino, a differenza di quello canino, si sviluppa anche in verticale, il che rende il cervello di un gatto molto più propenso a cercare indizi verso l’alto.

Riferimenti

Steven Pinker, Come funziona la mente (Castelvecchi, 1997)
Vilayanur S. Ramachandran e Sandra Blakeslee, La donna che morì dal ridere e altre storie incredibili sui misteri della mente umana (Mondadori, 2003)
Vilayanur S. Ramachandran, L’ uomo che credeva di essere morto e altri casi clinici sul mistero della natura umana (Mondadori, 2014)
Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (Adelphi, 2001)
Daniel Dennett, La mente e le menti (Rizzoli, 2000)
Mark Denny e Alan McFadzean, L’ingegneria degli animali – (Adelphi, 2015)
Jakob von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili (Quodlibet, 2013)
Giorgio Vallortigara, La mente che scodinzola. Storie di animali e cervelli (Mondadori Università, 2011)

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